Risarcimento trasfusione sangue infetto
Non sono poche le persone che, a seguito di una trasfusione di sangue, hanno contratto una grave infezione come l’epatite C o il virus dell’hiv. Non bisogna però lasciarsi depistare dalle imprecisioni che emergono a mezzo stampa e che portano molte persone a guardare con estremo scetticismo alle trasfusioni. Le sentenze periodicamente riferite dai media si riferiscono a risarcimenti per trasfusioni di sangue o emocomponenti avvenute negli anni ’80 e ’90, mentre oggi, fortunatamente, grazie agli scrupolosi controlli cui viene sottoposta ogni singola sacca di sangue donato, il rischio di contagio è molto più limitato.( scandalo sangue infetto anni 80 – 90)
Tuttavia, anche se basso, il pericolo non è del tutto scongiurato anche perché vi sono infezioni che hanno un periodo di incubazione piuttosto lungo, durante il quale i test da laboratorio danno esito negativo. La legge tutela i soggetti contagiati da ematotrasfusioni con un indennizzo statale cumulabile con un ulteriore risarcimento. Scopri come ottenere il risarcimento per i danni da trasfusione di sangue infetto.

Come e cosa si contrae tramite trasfusione di sangue infetto
Il contagio da emotrasfusione può avvenire attraverso una trasfusione di sangue o di emocomponenti (plasma, piastrine, globuli rossi) praticata costantemente per il trattamento di una malattia congenita (anemia, emofilia, talassemia) o occasionalmente durante un ricovero ospedaliero (ad esempio, in caso di incidente). Le malattie contratte più spesso attraverso trasfusioni di sangue infetto sono:
– epatite b (virus Hbv)
– epatite c (virus Hcv)
– virus dell’hiv, che può causare l’AIDS.
In linea teorica, oltre a questi virus, tramite trasfusione può essere trasmesso qualsiasi patogeno presente nel circolo sanguigno anche solo transitoriamente; esiste quindi un rischio potenziale di infezione associato a ciascuna donazione. Poiché non è possibile analizzare il sangue per tutti i patogeni esistenti, il rischio di infezione viene gestito a monte, escludendo i donatori che potrebbero trasmettere un’infezione per via ematica.
Per salvaguardare la persona che riceverà la donazione, le banche del sangue hanno il dovere di controllare scrupolosamente ogni singola sacca di sangue donato. La sicurezza per il ricevente è garantita da un’accurata selezione dei donatori, volta a reclutare solo quelli con comportamenti non a rischio, da rigorosi test, anche molecolari, e da un sistema basato sulla gratuità e volontarietà della donazione. Grazie a questo sistema, il rischio infettivo trasfusionale è molto basso (diversamente dal passato). Infatti, come ha sottolineato il Centro Nazionale Sangue (CNS), in Italia è da più di 10 anni che non ci sono segnalazioni di infezioni a seguito di trasfusioni.
Indennizzo a favore di soggetti danneggiati da trasfusioni
Ai sensi della legge 210/92, chiunque abbia contratto una malattia cronica fortemente invalidante, come l’hiv o l’epatite, a seguito di una trasfusione di sangue infetto, ha diritto ad un indennizzo erogato dallo Stato. Per ottenere tale indennizzo, è necessario che sia riconosciuto il nesso di casualità tra la trasfusione di emoderivati e l’insorgenza dell’infezione.
L’indennizzo è rappresentato da un assegno vitalizio bimestrale, reversibile per 15 anni agli eredi in caso di morte del danneggiato, di importo variabile a seconda della gravità della malattia contratta (ci sono 8 scaglioni). In caso di decesso della vittima del contagio da trasfusione infetta, i parenti a carico hanno diritto ad un assegno una tantum di circa 77 mila euro oppure all’assegno di reversibilità. I beneficiari dell’indennizzo sono esentati dal pagamento del ticket per la cura della patologia contratta. Hanno diritto all’indennizzo anche il coniuge contagiato dall’ammalato per trasfusione e il figlio contagiato nel corso della gravidanza.
La richiesta di indennizzo deve essere inoltrata al Ministero della Salute entro 10 anni dall’accertamento dell’infezione da hiv e 3 anni dall’accertamento dell’infezione da hcv per mezzo di un modulo prestampato reperibile nelle varie Asl oppure scaricabile da Internet. Al modulo dovranno essere allegati tutti i certificati medici comprovanti la trasfusione, le analisi da cui sono emerse le malattie contratte e lo stato di salute attuale del paziente.
Come ottenere il risarcimento del danno da trasfusioni
Oltre all’indennizzo previsto dalla legge 210 del 1992, esiste la possibilità di richiedere un ulteriore risarcimento dei danni per trasfusioni di sangue infetto citando direttamente il Ministero della Salute, che risponde a titolo di responsabilità extracontrattuale, o la struttura sanitaria, che risponde a titolo di responsabilità contrattuale. In quest’ultimo caso, il paziente che agisce in giudizio per malasanità deve provare, tramite cartella clinica, l’esecuzione della trasfusione e la gravità del danno psico-fisico che ne è derivato. Il risarcimento prevede sia il ristoro dei danni patrimoniali (ad esempio, le spese per le cure mediche), che non patrimoniali (danno biologico, morale, esistenziale).
Il termine di prescrizione della domanda di risarcimento per danno da responsabilità extracontrattuale è di 5 anni dal momento in cui il paziente infetto percepisce la malattia associandola alla trasfusione, mentre quello nei confronti della struttura ospedaliera è di 10 anni.
Il Ministero è ritenuto colpevole anche dei contagi avvenuti prima della scoperta dei test per la diagnosi delle infezioni a seguito di omesso o insufficiente controllo sul sangue.
Esempi di risarcimenti per danni trasfusionali
In Italia sono tanti i pazienti che si sono ritrovati a convivere con una malattia cronica dopo una trasfusione di sangue: tra il 1970 e il 1990 avrebbero contratto l’epatite o l’hiv ben 120.000 persone. Durante lo scandalo del sangue infetto, scoppiato negli anni di mani pulite, alcune case farmaceutiche furono accusate di aver immesso sul mercato flaconi di sangue presi da soggetti a rischio e non controllati, corrompendo medici e politici per vendere i loro prodotti. I contagiati sono soprattutto pazienti emofilici e talassemici che necessitano di costanti trasfusioni, ma anche soggetti trasfusi dopo un’operazione chirurgica.
Purtroppo alcuni malati hanno ottenuto il risarcimento quando erano già deceduti; il risarcimento per sangue infetto quindi è stato preso dai parenti rimasti in vita. C’è stato il caso di una famiglia a cui, nel 1985, venne a mancare il proprio congiunto di soli 30 anni per cirrosi epatica dovuta ad epatite c da trasfusioni di sangue infetto. Dopo anni di battaglia legali, la Corte d’Appello di Roma ha condannato il Ministero della Salute a pagare agli eredi un risarcimento di 1 milione e 800 mila euro per mancati controlli su alcune trasfusioni effettuate da vari ospedali romani.Ci sono molti casi, ricordiamo anche quello delle due donne di Parma infettate con il virus hcv in seguito a trasfusione di sangue infetto che hanno ottenuto il risarcimento.Oppure la donna di Napoli in cui durante il parto aveva contratto epatite c e ha ottenuto un risarcimento danni da sangue infetto di quasi 200 mila euro.
Tra il 2012 e il 2013, molti cittadini italiani contagiati per aver ricevuto sangue infetto tra gli anni settanta e novanta si sono rivolti alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo perché il Decreto 2012 impediva loro di accedere ai risarcimenti.
Nel 2016, la Corte di Strasburgo ha accolto i ricorsi di 371 persone condannando lo Stato italiano a pagare più di 10 milioni di euro (scandalo sangue infetto oppure sangue infetto condanna italia al risarcimento o sangue infetto la corte Unione Europea condanna Italia)